Il Punto : attesa moderata accelerazione attività economica

Il Punto : I dati usciti a cavallo del nuovo anno rafforzano l’attesa di una moderata accelerazione dell’attività economica a livello globale e nell’area dell’euro nel 1° semestre 2020………

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a cura dell’ Ufficio Studi Banca Intesa SanPaolo


– I dati usciti nelle ultime tre settimane sono stati alquanto in linea con la nostra valutazione delle prospettive cicliche globali.

Il modesto calo del PMI manifatturiero globale da 50,3 a 50,1 conferma la stabilizzazione dell’attività industriale, sebbene con forte varianza geografica.

Per quanto riguarda il terziario, l’indice globale per i servizi è salito a 52,1. Perciò, l’attività economica complessiva potrebbe essersi rafforzata ulteriormente.

Anche negli Stati Uniti, i PMI sono stati più robusti nel terziario che nell’industria. I nowcasting del PIL della New York Fed e dell’Atlanta Fed mostrano una riaccelerazione in dicembre.

Il Punto – I dati sul commercio internazionale, disponibili fino a ottobre, segnalano una dinamica congiunturale migliore sia per le importazioni (2,2% 3m/3m), sia per le esportazioni (-0,2% 3m/3m), con i primi segnali di stabilizzazione dopo il calo indotto dalla guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina.

Inoltre, l’indice di domanda estera nel PMI globale è ulteriormente salito a 52,4 in dicembre, miglioramento che prospetta ulteriori progressi nell’andamento dei flussi commerciali tra fine 2019 e inizio 2020.

Successivamente, le variazioni tendenziali saranno gonfiate da effetti base, uscendo dal calcolo i mesi caratterizzati dall’assestamento dei flussi di import-export ai maggiori dazi.

La probabile firma dell’accordo di Fase 1 fra Cina e Stati Uniti e la ratifica dell’accordo per il recesso del Regno Unito dall’UE (manca soltanto il voto della Camera dei Lords il 27 gennaio) hanno rimosso due rischi importanti dall’orizzonte più vicino.

Il Punto – I dati europei sono stati complessivamente migliori del previsto, come testimonia il passaggio a livelli positivi dell’indice di sorpresa economica CESI per l’area dell’euro.

Il PMI composito è salito ulteriormente, trainato dalla ripresa dei servizi. La fiducia delle imprese è migliorata in tutti i settori eccetto l’industria, ove è rimasta stabile.

Anche la produzione industriale tedesca ha sorpreso in positivo, a novembre (si veda il commento nella sezione Osservatorio Macroeconomico).

Tirando le somme di quanto visto, riteniamo che la crescita del PIL nell’Eurozona dovrebbe essere rimasta a 0,2% t/t anche nel 4° trimestre 2019, per una variazione tendenziale di 1,1% a/a.

Il rischio di recessione resta perciò basso, almeno nel breve termine.

L’aggravarsi della crisi fra Iran e Stati Uniti potrebbe guastare la festa? Riteniamo che sia improbabile: non riteniamo che l’evoluzione sarà verso un conflitto convenzionale, né che la tensione sconvolgerà l’export petrolifero dalla regione.

Inoltre, la flessibilità dello shale oil e l’abbondanza di offerta complessiva rendono il mercato più resiliente rispetto ai tempi delle guerre del Golfo.

Il Punto – La tensione fra Stati Uniti ed Iran, salita molto di livello fin da quando gli Stati Uniti hanno deciso di denunciare il trattato sul nucleare iraniano, si è bruscamente innalzata ulteriormente nelle ultime settimane per una catena di rappresaglie e contro-rappresaglie.

Da indiretto, e per proxy, lo scontro è diventato diretto.

Le tensioni sono culminate il 3 gennaio nell’assassinio di un alto esponente del Governo iraniano, il generale Soleimani, mediante un’azione ufficialmente rivendicata dal Governo statunitense.

Il Punto – Riteniamo poco probabile che la crisi degeneri in un conflitto convenzionale fra i due paesi. L’Iran può meglio perseguire i propri obiettivi di potenza regionale attraverso le molteplici organizzazioni che controlla o sostiene in tutto il teatro medio-orientale, cercando nel frattempo di accelerare i programmi di sviluppo di una deterrenza nucleare.

Per lo stesso motivo, in assenza di minacce imminenti alla propria sopravvivenza, è improbabile che il Governo iraniano imbocchi la via del blocco dello stretto di Hormuz, mossa che rischierebbe di rendere inevitabile una reazione, senza peraltro conseguire vantaggi strategici decisivi.

D’altra parte, neppure il Governo degli Stati Uniti è mai apparso incline a correre il rischio di un conflitto convenzionale su larga scala – anche se la convinta riesumazione della Madman Theory nixoniana da parte del presidente Trump possa dare a volte l’impressione contraria.

– Gli sviluppi più recenti confortano tale giudizio. L’Iran ha risposto all’assassinio di Soleimani in modo molto misurato, senza causare vittime, lasciando agli Stati Uniti la possibilità di interrompere l’escalation militare in modo onorevole. E il Governo americano ha prontamente colto l’occasione.

Il Punto – Ovviamente, non è la fine della questione iraniana. È probabile che la crisi torni nei binari in cui si trovava prima, ma con l’Iran ancora più interessato a mettere in difficoltà gli Stati Uniti in tutto il teatro medio-orientale, in un periodo in cui l’influenza di questi ultimi era già in evidente calo.

Il rischio maggiore, citato da diversi analisti politici, è che le azioni di qualche milizia legata all’Iran inducano gli Stati Uniti a nuove rappresaglie, sviluppo che potrebbe nuovamente riportarci alla situazione di inizio anno.

Il Punto – Anche in caso di escalation, però, le implicazioni per il mercato del petrolio potrebbero essere molto più modeste rispetto ad altri periodi di conflitto in Medio Oriente.

In primo luogo, l’offerta di petrolio è attualmente sovrabbondante, con ampi margini da capacità estrattiva aggiuntiva che potrebbero essere mobilizzati dai produttori OPEC in caso di problemi, scorte che sono appena del 6% sotto i massimi del luglio 2016 e previste in crescita, e una flessibilità aggiuntiva della produzione garantita dallo shale oil che non esisteva ai tempi delle guerre del Golfo.

Fonte: BondWorld.it


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