Il Punto : Il piano per la ripresa è stato approvato dal Consiglio Europeo al primo colpo, anche se un po’ ridotto nella quota relativa al budget …
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La quota dei trasferimenti resta sostanziosa, anche se più bassa rispetto alla proposta iniziale. Il prezzo pagato è stato un ridimensionamento del programma di contrasto al cambiamento climatico e, più in generale, del ruolo della Commissione Europea.
Per i paesi beneficiari netti, i trasferimenti saranno ingenti: perché facciano la differenza, però, dovranno essere messi a frutto per modernizzare l’economia.
– La riunione straordinaria del Consiglio Europeo si è conclusa martedì mattina con l’annuncio di un accordo politico di portata storica sul bilancio 2021-27 e sul piano Next Generation EU (NGEU).
I punti chiave delle conclusioni del vertice possono essere sintetizzati come segue:
– Il bilancio UE 2021-27 (QFP) è fissato a 1.074 miliardi di euro, come nella proposta di Michel. Confermata, quindi, la riduzione rispetto alla proposta originaria.
– La dimensione di NGEU rimane a 750 miliardi di euro. Tuttavia, la spesa scende a 390 miliardi e i prestiti salgono a 360 miliardi.
In pratica, ciò significa che il programma potrebbe essere più piccolo perché alcuni degli Stati membri con bassi costi di rifinanziamento (più di quelli già ipotizzati per il dimensionamento) non richiederanno prestiti e la maggior parte richiederà un importo inferiore al massimo1.
Inoltre, la ristrutturazione del programma ha accentuato la concentrazione dei flussi nel Fondo per la ripresa e la resilienza (RRF): questo passa da 560 a 672,5 miliardi, ma con una quota della spesa diretta dell’UE di 312,5 miliardi, pressoché invariata.
Al contrario, Horizon Europe, InvestEU, Just Transition Fund, Rural Development e lo strumento di solvibilità sono drasticamente ridotti. In sostanza, l’accordo sacrifica pesantemente i programmi gestiti dalla Commissione, e in particolare quelli per il contrasto ai cambiamenti climatici.
– Allocazione: il 70% del RRF sarà impegnato nel 2021 e nel 2022, in base alla norma proposta dalla Commissione Europea; il restante 30% sarà impegnato entro la fine del 2023 sulla base di una regola che attribuisca lo stesso peso alla riduzione del PIL nel 2020 e alla variazione cumulativa 2020-21, anziché al tasso di disoccupazione passato.
Per quanto riguarda i prestiti, la quota di ciascuno Stato membro non può superare il 6,8% del suo reddito nazionale lordo. Nota: questa è una distribuzione temporale degli impegni, non dei pagamenti: come spiegava il blog post di Bruegel pubblicato a giugno, i pagamenti potrebbero raggiungere il picco nel 2023-24. L’accordo contiene un correttivo (A17) che prevede di anticipare il 10% del programma con un pagamento che avverrà nel 2021.
– Governance: i piani per il recupero e la resilienza saranno esaminati dalla Commissione Europea e si conferma che devono ottenere il punteggio massimo in termini di coerenza con le raccomandazioni del semestre europeo. L’azione per il clima rimane al centro del piano, con un obiettivo globale per il clima del 30% rispetto all’importo totale delle spese del QFP e di NGEU.
L’approvazione viene deferita al Consiglio, a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione Europea. Rimane la valutazione dello stato di avanzamento dei pagamenti: il giudizio viene delegato alla Commissione, che deve consultare il Comitato economico e finanziario; esiste la possibilità per uno Stato membro di sospendere lo sblocco del pagamento e di chiedere che la questione sia esaminata dal Consiglio Europeo, che deciderà entro 3 mesi.
– Risorse proprie: l’UE introdurrà un’imposta sui rifiuti di plastica non riciclata entro il 1° gennaio 2021, mentre l’anno prossimo verranno presentate proposte su un meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio e su un prelievo digitale, con l’obiettivo di introdurle nel 2023.
Inoltre, la Commissione proporrà un sistema ETS rivisto, che potrebbe essere esteso al trasporto aereo e marittimo. Le future decisioni sulle risorse proprie richiederanno il consenso in seno al Consiglio e la ratifica da parte degli Stati membri.
– Tutto considerato, il risultato è vicino al migliore che si potesse sperare; inoltre, l’accordo è stato raggiunto senza la necessità di convocare una seconda riunione del Consiglio Europeo, come invece si temeva:
– La dimensione del programma è grande: l’allocazione massima prevista per l’Italia vale 5 anni di investimenti pubblici, ai tassi di spesa recenti.
– Ci sarà un aumento delle emissioni comunitarie nel 2021-23di dimensione straordinaria.
– Le condizioni integrate nel programma e i controlli esterni sulla liberazione di fondi implicano che gli Stati membri hanno ora incentivi per attuare riforme strutturali e sviluppare gli investimenti pubblici, piuttosto che aumentare la spesa corrente.
– Allo stesso tempo, la governance non fornisce a nessun singolo paese il potere di ricattare gli altri attraverso poteri di veto, eliminando l’incertezza che ha ripetutamente complicato i programmi di assistenza finanziaria durante la crisi del debito.
– Di contro, però, il drastico taglio dei programmi collaterali rappresenta un ridimensionamento di Commissione e Parlamento Europeo e una vittoria per chi propugna una visione intergovernativa dell’Unione Europea, in cui il controllo resta nelle mani degli Stati membri.
– Una cosa che il piano di risanamento non fa e non era destinato a fare è fornire finanziamenti nel 2020. Ciò dovrà provenire da fonti di mercato, al netto del contributo di SURE e della linea di credito PCS del MES. Su quest’ultimo, al momento non sembra molto probabile che il Governo italiano tocchi il PCS, a causa della profonda e irrazionale ostilità ideologica contro l’ESM all’interno di Cinquestelle e LEU, che potrebbe rendere difficile conseguire il necessario sostegno parlamentare.
Anche nel 2021, il contributo al programma di finanziamento, sebbene molto rilevante (oltre l’1% del PIL italiano), sarebbe modesto rispetto alla dimensione del ricorso al mercato atteso sulla base delle prospettive dei conti pubblici. Pertanto, il rifinanziamento2021 resterà fortemente dipendente dai programmi di acquisto BCE: saranno questi ultimi a garantire indirettamente la copertura delle emissioni.
– In aggiunta, l’esperienza dimostra che alcuni paesi non sono molto efficienti nell’attuazione dei programmi UE: mentre il tasso di assorbimento effettivo al 2015 è stato del 95% in Portogallo, si colloca all’81% in Spagna, al 73% in Italia e al 64% in Slovacchia2.
Pertanto, l’allocazione rappresenta il massimo che può essere raggiunto nel migliore dei casi, ma avvicinarsi a questo massimo richiede un salto di qualità nella capacità progettuale e di implementazione. L’Italia non è riuscita a utilizzare circa 7 dei 28 miliardi allocati per progetti di coesione e strutturali.
– Infine, il sostegno è sì eccezionale per dimensione, ma se non servirà a migliorare il passo della crescita nel lungo termine non cambierà radicalmente le condizioni di sostenibilità: i 120 miliardi di crediti implicano una riduzione del costo del debito, ma sono comunque debito; gli 80 miliardi si confrontano con un incremento del debito pubblico dal 2019 al 2023 che era previsto in oltre 400 miliardi di euro.
– Per concludere, questo è solo l’inizio di un processo per gli Stati membri più fragili, non un colpo di bacchetta magica che all’improvviso risolve il problema di un rapporto debito eccessivo e di una crescita lenta.
La sfida chiave è ora quella di utilizzare al meglio questo aiuto finanziario: vale a dire, non per una spinta a breve termine della domanda interna, ma piuttosto per aumentare la crescita a lungo termine.
1 Se tutti gli Stati membri richiedessero prestiti, il plafond sarebbe ben al di sotto del requisito: il 6,8% del PIL dell’UE è superiore a 1 trilione di euro. Pertanto, il piano si basa su uno scenario in cui solo un sottoinsieme di paesi richie dei prestiti RRF.
2 European Parliamentary Research Service Blog, Structural and Cohesion Funds (ERDF+ESF+CF, 2007-13, https://epthinktank.eu/2015/09/02/cohesion-policy-implementation-in-the-eu28/fig3_funds/.
Fonte: BondWorld.it