Il Punto : Un’iniezione di fiducia

Il Punto : Un’iniezione di fiducia, ma ancora per pochi. La morsa della pandemia sull’economia mondiale inizia ad allentarsi, anche per merito delle campagne vaccinali.

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Il recupero del 2021 sarà trainato da Asia e Stati Uniti. Il rimbalzo dell’inflazione è amplificato da fattori transitori: i picchi del 2021 non saranno replicati nel 2022. Le politiche monetarie resteranno molto accomodanti, ma nel 2022 si dovrebbe verificare un primo rallentamento degli acquisti di titoli. Resta il problema che la diffusione dei vaccini è limitata a pochi paesi avanzati: oltre a precludere una piena normalizzazione, tale situazione ci espone al rischio che nuove varianti riducano gli effetti dei vaccini, frenandola.

L’impatto della pandemia sull’attività economica globale sta diventando sempre più diversificato geograficamente. La differenziazione dipende da fattori demografici, livello di sviluppo, efficacia delle strategie di contenimento e delle campagne di vaccinazione, intensità delle misure fiscali compensative, diffusione di nuove varianti. Il continente europeo è quello che ha osservato il mix peggiore di mortalità complessiva collegata a COVID-19 e contrazione del PIL: nell’ondata autunnale neppure la Germania è riuscita a distinguersi positivamente. In generale, però, nella seconda ondata anche in Europa le misure di contenimento sono state più selettive e meglio contrastate da misure fiscali compensative, sicché la contrazione del PIL è stata molto più contenuta rispetto alla primavera 2020. Attualmente l’incidenza dei nuovi casi sta risalendo di nuovo dopo il rallentamento di gennaio e inizio febbraio; in Europa, dove alcuni paesi sono già stati costretti a reintrodurre misure restrittive di contenimento, la pandemia potrebbe rallentare la ripresa primaverile.

Dove è più avanti, la campagna vaccinale sta dimostrando di poter incidere sulla resilienza del sistema sanitario, configurandosi come un fattore determinante di ripresa. Tuttavia, gran parte dei paesi emergenti restano al margine del processo e, fra quelli avanzati, l’Europa (eccezion fatta per il Regno Unito) e il Giappone hanno un divario da recuperare rispetto agli Stati Uniti, pari ad almeno un trimestre nel caso dell’Unione Europea, e almeno a tre trimestri nel caso del Giappone (che però può contare su un sistema di contenimento molto più efficace di quello europeo).

Le dosi somministrate rappresentano poco più del 3% della popolazione mondiale. Nei prossimi mesi la disponibilità di vaccini si amplierà con l’ingresso di nuovi prodotti, e si attende un’intensificazione del flusso di somministrazioni giornaliere. Negli Stati Uniti, l’immunità di gregge potrebbe essere conseguita entro luglio.

L’Unione Europea ha come obiettivo ufficiale il mese di settembre; tale obiettivo però non sarà conseguibile senza una radicale accelerazione delle somministrazioni. Per riportare l’impatto su mortalità e sistema sanitario entro livelli gestibili senza particolari limitazioni potrebbe essere sufficiente immunizzare soggetti fragili e la popolazione sopra i 60 anni di età, oltre a introdurre un controllo rigoroso degli spostamenti transfrontalieri per prevenire l’ingresso di varianti in grado di aggirare la risposta immunitaria creata dai vaccini.

In effetti, un significativo rischio per lo scenario è proprio costituito dalla possibilità che i paesi ove la circolazione del virus è vivace facciano da incubatori di varianti che rendano inefficaci i vaccini disponibili. Per ridurre tale rischio, in futuro sarà necessario estendere la campagna vaccinale anche ai paesi emergenti.

La previsione economica nello scenario principale

Lo scenario principale mantiene l’ipotesi di tre mesi fa riguardo all’ondata di contagi, ma accentuando i suoi effetti negativi sull’economia europea nel primo semestre 2021. Lo scenario mantiene anche l’ipotesi che successivamente si avvii un graduale processo di normalizzazione nei settori soggetti alle maggiori restrizioni (turismo, viaggi, ristorazione), che però arriverebbe a compimento soltanto nel 2023.

Le politiche fiscali continuano a essere orientate al sostegno della domanda, anche se i deficit pubblici calano grazie al rientro di molte misure emergenziali non più necessarie e agli effetti della ripresa economica su entrate tributarie e spesa sociale. Rispetto a tre mesi fa, lo scenario incorpora gli effetti del notevole stimolo fiscale approvato negli Stati Uniti, mentre rivede al rialzo le stime sui saldi di finanza pubblica nell’area dell’euro.

I contributi alla crescita del PIL mondiale evidenziano il contributo predominante dell’Asia al rimbalzo 2021, seguito da quello degli Stati Uniti, aumentato significativamente rispetto alla stima di dicembre. L’Europa recupera la caduta del 2020 soltanto nell’arco di un biennio. Il ritardo della ripresa europea rispetto a quella statunitense non riflette una peggiore gestione della crisi pandemica (la mortalità relativa è stata elevata, come negli Stati Uniti), ma piuttosto l’attivazione più aggressiva di compensazioni fiscali che ha caratterizzato la risposta degli Stati Uniti, e l’impatto del più rapido programma di vaccinazioni sulla ripresa nel terziario. L’incremento dei trasferimenti pubblici alle famiglie è stato più che doppio in percentuale del reddito disponibile delle famiglie, e ha portato alla più forte crescita dei redditi dal 2000.

Dal 2021 (area euro) o dal 2022 (Stati Uniti) tale sostegno pubblico sarà ritirato, ma i rischi per i consumi sono limitati: innanzi tutto, esso sarà largamente rimpiazzato dalla crescita endogena del reddito; inoltre, la crisi ha lasciato in eredità un eccesso di risparmio che sarà riassorbito nei prossimi anni. Lo scenario include un ritorno della propensione media al risparmio ai livelli pre-crisi nel 2022 negli Stati Uniti e nel Regno Unito, mentre il livello resta più elevato rispetto al 2019 nell’area euro, in Canada e in Giappone. L’area dell’euro ha quindi un potenziale di recupero che potrebbe dispiegarsi a partire dal prossimo anno, derivante sia dalla maggior quota di valore aggiunto ancora bloccata a causa della pandemia, sia dalla possibilità che la ripresa della propensione al risparmio si riveli più rapida di quanto oggi ipotizzato.

Le proiezioni di inflazione per il 2021 sono state riviste al rialzo e, in effetti, l’anno è iniziato con notevoli sorprese, nell’Eurozona in particolare. L’aumento dell’inflazione è indirettamente legato alla revisione delle aspettative di crescita, ma non perché si tratti di inflazione “da domanda”. In effetti, riflette in larga misura l’aumento delle quotazioni petrolifere, rimbalzate grazie alle aspettative di una più robusta ripresa economica e alla riduzione dell’incertezza. La sola revisione al rialzo delle quotazioni petrolifere aumenta l’inflazione media del 2021 di 1,1 punti percentuali negli Stati Uniti e 1,0 punti nell’Eurozona, mentre riduce di 2-3 decimi le proiezioni per il 2022. L’inflazione è sostenuta da altri fattori transitori: scarsità di semiconduttori, aumenti dei noli marittimi e, in Europa, il ritorno dell’IVA a livelli normali in Germania e il cambiamento del paniere di riferimento.

Tuttavia, le nostre proiezioni sull’inflazione sottostante non sono mutate significativamente. Nel medio termine, la revisione al rialzo delle stime di crescita ha migliorato le prospettive, accorciando i tempi per il riassorbimento dell’output gap. Però perfino negli Stati Uniti non si prevede il recupero dei livelli pre-crisi di disoccupazione prima del 2023, e si può dubitare che il costo del lavoro possa registrare una dinamica molto sostenuta in tali condizioni. D’altronde, anche nel 2019 i bassi livelli di disoccupazione non erano stati associati a tensioni sui salari e sui costi di produzione. Inoltre, una parte significativa della crescita 2021-22 deriverà dal ritorno di settori con elevato eccesso di offerta a condizioni normali di utilizzo della capacità, ed è improbabile che ciò sia associato a pressioni inflazionistiche. La situazione cambierebbe se lo stimolo fiscale divenisse più duraturo, portando a una situazione di persistente eccesso di domanda.

Le politiche monetarie restano molto accomodanti. Con l’avvio della ripresa post-pandemica e la drastica revisione al rialzo delle proiezioni di crescita, non ci aspettiamo nuovi stimoli né nell’Eurozona, né negli Stati Uniti. L’orientamento di politica monetaria potrebbe subire una prima correzione nel 2022, con l’avvio della riduzione degli acquisti negli Stati Uniti e la cessazione degli acquisti netti nell’ambito del PEPP nell’area dell’euro a partire dal mese di aprile.

A causa dei diversi tempi della ripresa, i primi segnali di svolta dovrebbero arrivare dagli Stati Uniti. Nel medio termine, la politica monetaria resterà fortemente condizionata dagli elevati livelli di debito pubblico e privato accumulati dal 2008 in poi, fattore che imporrà grande cautela nel ridurre i reinvestimenti delle scadenze e nell’avviare il rialzo dei tassi. In effetti, non ci attendiamo rialzi dei tassi ufficiali prima dello scorcio finale del 2023.

I rischi In questo momento, nei paesi avanzati, gli scenari di rischio connessi alla pandemia sono di tre tipi: (1) distribuzione dei vaccini più lenta delle previsioni (più rilevante in Europa o Giappone), (2) riduzione della loro efficacia per la diffusione di varianti resistenti (rischio globale, ma più significativo ove i programmi sono in pieno sviluppo); (3) nuove ondate di contagio che impongano restrizioni economiche significative (Eurozona nel breve termine, diversi paesi emergenti, potenzialmente Giappone).

La gamma di scenari alternativi possibili è molto ampia. Ipotizzando problemi diffusi che ritardino la normalizzazione di circa un anno, la crescita mondiale sarebbe più bassa di 0,4 punti percentuali nel 2021 e di 0,2 punti nel 2022. Lo scenario più pericoloso per il clima di fiducia e con le maggiori implicazioni per i mercati finanziari è quello di inefficacia dei vaccini, che potrebbe essere associato a un nuovo aumento dell’avversione al rischio e a un rinvio di parecchi mesi della svolta sul fronte della politica monetaria.

Fonte: BondWorld.it


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